sabato 19 aprile 2014

Cento pietre e mille storie: il viaggio di Micco a Patù


Squadra: Micco

Cercatori: Graziano, Cesà, Serena e Monica.

Narratore: Danilo.



Tu non conosci il sud, le case di calce da cui uscivamo al sole, come numeri dalla faccia di un dado” scrisse Vittorio Bodini, il poeta leccese nato un secolo esatto fa. Se però tu volessi conoscere il Sud, Patù sarebbe il posto giusto per cominciare.


Un paese minuscolo e illustre, fatto di cento pietre e mille storie. Partite dall’unica civiltà che il Salento abbia partorito e dalla quale non sia stato colonizzato, quella dei Messapi; passate dalla lotta contro i saraceni e dalla leggendaria presenza di Carlo Magno; attraversate dal patto fra politica e malavita che permise l’unità d’Italia; arrivate ai tempi recenti del sogno industriale, quando venimmo (ancora Bodini) “presi dalle spire del boom”; e giunte infine alla riscoperta dolce degli ultimi anni, nei quali un muretto a secco, uno spicchio di mare e una tradizione contadina ritornano a essere tesori, nascosti e ritrovati.


Ma Chiccèccè non è un trattato di storia: è un viaggio all’interno dei centri meno conosciuti del Salento per assaggiarne il carattere profondo e conoscerne i personaggi significativi. 

E anche una gara di noi altri, “Micco”, contro quegli altri, “Macco”; la visita alla collina di Vereto è però fuori gara: ci rechiamo insieme in questo luogo mistico e bellissimo, con la chiesetta che ha preso il posto del tempio latino e, prima ancora, del luogo di culto preromano che dominava quella che fu l’acropoli del Salento messapico e una delle capitali della civiltà fiorita nella Puglia meridionale nel V secolo avanti Cristo. 

Vereto è anche l’ideale spartiacque del territorio di Patù; da una parte l’area più conosciuta: il mare, la caletta di San Gregorio e l’intenso panorama che ha incantato Vinicio Capossela tanto da farlo diventare patuscio onorario; dall’altra la zona meno nota e più segreta, quella del paesino nell’entroterra. È lì che ci dirigiamo tutti insieme, per dividerci in due squadre: il misticismo è bello, ma competition is competition

Punto di partenza per tutti, la piazza al centro di Patù, cuore del paese, dominata dalla chiesa e dalla torre dell’orologio: sono appena passate le 16 e abbiamo meno di due ore per totalizzare il punteggio maggiore possibile. Monica parte subito a carrarmato: ci siamo appena inoltrati in un vicoletto che apostrofa due ragazzini. 

Sulla terrazza di una casetta bianca di calce, martellano di santa ragione il comignolo che spunta dal tetto. “Che state facendo lì sopra?” chiede lei, squadrando critica le operazioni con l’occhio esperto dell’imprenditrice edile. 
Stiamo sistemando la casa, ci veniamo a stare con gli amici” le risponde un terzo ragazzino (facendoci guadagnare il primo punto del tour), sbucato inopinatamente dalla porta aperta sulla strada. 

Danilo intanto si inerpica sulla scala, sfidando i tarli, per salire a sbirciare i “lavori” sul tetto: i due ragazzi ridono e non si sottraggono alla foto di rito (2 altri punti in cassa); e intanto il terzo di loro fa accomodare Serena, Graziano e Cesà (che totalizzano così altri 5 punti) nei due minuscoli locali che compongono l’abitazione e spiega i progetti del gruppo. 

Questa casa era della mia bisnonna, c’è una cucina e una stanza da pranzo, ci abbiamo portato un divano. La sera ci organizziamo insieme e ci veniamo a sguariare”. È un’abitudine che continua a vivere, specie nei paesi della provincia: una vecchia casetta ormai non abitata, una comitiva che ci porta musica, giochi, qualcosa da mangiare e bere; un modo alternativo ed economico per stare insieme, divertirsi e passare la serata. 


Salutiamo i tre industriosi ragazzi e ricominciamo a camminare per i vicoli bianchi di Patù. Difficile immaginare un Salento più profondo: Leuca è a una manciata di chilometri da qui, ma rispetto all’estrema punta della Puglia, alla sua aria nobiliare e marinara, Patù è più domestica e alla mano. 
 
None none, nu ne sacciu cunti antichi” arriva subito a smentirci la risposta della nonnina un po’ diffidente che Cesà e Monica hanno abbordato, appena girato l’angolo. Lei non conosce racconti, filastrocche o leggende antiche e ci scruta poco convinta dalla sua poltrona, affiancata dalla badante dell’est, noi ci accontentiamo di 1 punto e proseguiamo. 

È una stradina stretta e suggestiva, quella che percorriamo: “questa si chiama rua dei travai”, ci spiega il vecchietto dagli occhiali azzurrini al quale Monica e Cesà sbarrano letteralmente il passo. 
E che vuol dire?” chiede lei; lui la guarda un po’ smarrito: “Oh! Via dei lavori, no? È dialetto di qua… signurìa di dove sei?”. 

Nessuno di noi viene da Gallarate, beninteso, ma in nessuna delle nostre varianti di salentino è così evidente l’influenza francese, degli Angioini che evidentemente traghettarono le loro “rue des travails” qui nel Capo di Leuca.  

Un solo punto è perfino poco per la preziosa informazione ricevuta, ma lo incassiamo volentieri e tiriamo avanti. Stavolta è Serena a sfoderare il suo charme per spillare informazioni (e 1 punto) all’uomo che incontriamo per strada: “Cosa c’è di notevole a Patù?” è la domanda. 

L’uomo si gratta la testa e fa mente locale: “oltre alla Centopietre? Beh, c’è la casa di don Liborio” dice. “Ma certo – interloquisce Danilo - a Patù nacque Liborio Romano, l’unico che riuscì a fare il ministro sia dei Borbone che dei Savoia”.

L’obiettivo è chiaro, Serena lo indica: “Missione don Liborio”, avanti! Il palazzo ottocentesco è in fondo alla strada, ma la delusione non è di poco conto: l’abitazione che sorge nella strada intitolata al ministro che passò dal Regno di Napoli all’Italia unita è chiusa e inaccessibile. 

Le uniche informazioni si ritrovano in una lapide in marmo di commemorazione ufficiale, infarcita di “dolorosa maturazione degli italici destini” e “anima affisa alla futura patria”, che fa riferimento all’esilio e alla prigionìa subiti dal giurista legato alla massoneria risorgimentale. 

Allu Giuvanni dovete andare, per saperne di più” ci dice un signore, che ha assistito alla nostra delusione dallo scalino del circolo ricreativo antistante al palazzo Romano. “Allu Giuvanni? Cioè?”. “Giovanni Spano, da Mamma Rosa: fidatevi, è un museo vivente” ci ribatte l’uomo, regalandoci 1 punto e una traccia che si rivelerà preziosissima. 

Ci fidiamo e seguiamo i cartelli che ci portano da Mamma Rosa, una delle più storiche trattorie del Capo di Leuca: sono le 5 del pomeriggio e ovviamente troviamo chiuso; chiediamo permesso e ci inoltriamo nel giardino (guadagnando 3 punti) quando un abbaiare furioso ci blocca. 

Il padrone avrà sciolto il feroce cane da guardia? Macché il feroce latrato arriva da un cagnetto che scodinzola all’impazzata, come se volesse decollare usando la coda come elica; ha il capo racchiuso da un imbuto trasparente, di quelli che si usano per impedire agli animali di rodersi fino a farsi male. 

Subito dietro di lui arriva il padrone: Giovanni Spano, esperto di ricette contadine e ministri borbonici, ci guarda diffidente. Quando gli spieghiamo il motivo della nostra visita, però, si illumina (1 punto per noi): “accomodatevi, venite dentro. Maggio, stai buono!” aggiunge, rivolto al cagnetto che tenta di farci le feste nonostante l’imbuto. “Si chiama Maggio perché è nato a maggio – ci spiega - mo’ sta triste, perché ha avuto una piccola infezione e abbiamo dovuto mettergli ddhu cosu”. 

L’interno del ristorante, nel quale Giovanni ci introduce (facendoci guadagnare 5 punti), è lindo e profumato: illuminato dalla finestra, campeggia un grande talaru, il telaio sul quale fino a pochi decenni fa le donne tessevano. “Che meraviglia”, dicono Serena e Monica. 

Gli interessi di Graziano puntano altrove: “che si mangia di buono, qui?”. “Tutti i piatti tradizionali – risponde il nostro ristoratore – la ciciri e tria, i pezzetti di cavallo, la lagurda”. “La ciciri e tria la conosciamo bene: ci hanno spiegato come si prepara a Muro Leccese" dice Cesà. "La lagurda invece non l’ho mai sentita - dice Serena - come si prepara questo piatto?”. 

E Giovanni Spano, sotto gli occhi adoranti del cagnetto Maggio, attacca con la minuziosa descrizione della ligurda, piatto della tradizione comune a tutto il Salento contadino, che assume nomi diversi in base alle zone della provincia: la ricetta intera, che ci vale 10 punti, la potete leggere(e sentire) qui
La saporosa lagurda ci ha ricordato che abbiamo sete: Giovanni, fedele al precetto evangelico, apre una bottiglia d’acqua e ci fa guadagnare altri 5 punti.

"Ma quindi è vero o no che Liborio Romano era il ministro della Camorra?" chiede Danilo, andando dritto al punto più controverso della storia del politico di Patù. Giovanni, passando senza alcuno spiazzamento dai crostini fritti alla storia risorgimentale, scrolla la testa: “Eeeeh, non è che stanno così le cose: la fate semplice voi” dice, gonfiando le gote come chi ne avrebbe molte da dire, e forse troppe. “Lui si servì della malavita, ma per salvare Napoli e l’Italia” è la sua premessa. 

Ma il racconto, che si preannuncia lunghissimo (Spano è il presidente dell’associazione culturale “Liborio Romano” e il curatore di questo completissimo sito internet), viene interrotto dallo squillo del suo cellulare. “Sì professore, esco subito” risponde Giovanni al telefono e poi, rivolgendosi a noi: “scusate, c’è il professore qui fuori”. 
 
Incuriositi, lo seguiamo: il “professore” è Fabio D’Astore, docente dell'Università del Salento, componente dell’Istituto di culture euromediterranee e presidente provinciale della società “Dante Alighieri”. Nonché massimo esperto di Liborio Romano: insieme a Bruno Ferilli, sta riportando i cartelli di una mostra sul ministro di Patù a quella specie di museo informale che è la residenza di Giovanni Spano. Danilo, che a suo tempo ne subì l'interrogazione durante un esame universitario, saluta entrambi (totalizzando altri 2 punti) ma stavolta rovescia le parti e interroga il docente. 

Tre anni fa abbiamo fatto il processo pubblico a Liborio Romano, qui nella piazza principale di Patù – spiega il sorridente professore – La domanda era “Statista o Trasformista?” e c’era un vero tribunale a giudicare, presieduto da un magistrato e due storici”. “E com’è andata a finire?” chiede Danilo. “Io ero nel collegio di difesa – gongola il professore D’Astore – e la sentenza è stata di assoluzione”. Ci sarebbe da passare tutto il pomeriggio lì ad approfondire l’ambivalente figura del ministro liberale che convinse il re Francesco II di Borbone a abbandonare il regno, assoldò i camorristi per mantenere l’ordine pubblico a Napoli e consegnò la capitale del Meridione a Garibaldi permettendo la nascita del Regno d’Italia senza spargimenti di sangue. 

Ma il tempo stringe e la gara deve continuare: salutiamo i tre “Romanisti”, a loro modo partecipi di un ripensamento profondo sulle dinamiche dell’unità d’Italia (che alcune correnti storiografiche e giornalistiche del Mezzogiorno chiamano “annessione”) e ci incamminiamo alla ricerca dell’altro monumento notevole del paesino del Capo: la Centopietre. 
 
Non ci arriveremo tanto presto, nonostante le precise indicazioni (che ci valgono 1 punto) che ci dà l’omino del gas, fermato da Serena mentre porta la bombola piena di propano: la rete del metano, infatti, è una novità degli ultimi anni in tutto il sud Salento e in alcuni casi attende ancora di diventare realtà. “Mmh, state lontani – ci dice - la Centopietre è all’altro capo di Patù”. Fatte le debite proporzioni, calcoliamo di essere a qualche centinaio di metri di distanza e rientriamo nel centro storico; ma i punti languono ed ecco perché, senza troppi complimenti, Danilo si rivolge a un ragazzo che sta uscendo da casa: “ehi, ciao! Ci faresti vedere il giardino?”. Lui ride imbarazzato, non sa che pensare, ma l’istintiva ospitalità del sud gli fa aprire il cancello: “prego!”. 

Perfetto: 1 punto per la chiacchiera e 3 per il giardino. Serena e Monica sfoderano ciglia lunghe e toni insinuanti, Graziano e Cesà i loro migliori sorrisi, mentre intorno ai nuovi ospiti fa le feste Lulù, la cagnetta di casa. “Ma se ti chiedessimo anche un caffè?” butta lì Serena “stiamo gareggiando e ci darebbe un po' di punti”. Salvatore capisce, si diverte e ci apre la porta di casa, confermando l’insopprimibile ospitalità meridionale che questo ragazzone dagli occhi chiari non ha dimenticato, nonostante da undici anni viva e lavori a Milano. 

Se provate a farlo lì, questo gioco, vi va male” dice, facendoci accomodare in sala da pranzo (e facendoci guadagnare 5 punti). Salvatore ha 30 anni e una storia comune a molti ragazzi meridionali, che ci racconta con un curioso accento a metà tra il capuano e il milanese, mentre prepara il caffè. Finite le scuole superiori è partito per il Nord Italia a cercare lavoro; l’ha trovato (“sto nella polizia municipale, quello che lì chiamano bauscia”) e ha messo su famiglia (“ho moglie e due figli piccoli”). 

La sua sorridente serietà quasi ci commuove: qui a Patù ha lasciato un pezzo di cuore, i genitori, un fratello (le cui foto nelle più disparate cerimonie, dal matrimonio alla comunione, tappezzano la stanza) e ci torna appena può. Mentre Danilo sbircia il lindo salotto buono, al quale non manca nulla, dalla statuetta di padre Pio alla foto dei due capostipiti in cornice d’argento, Serena si serve senza risparmio delle patatine che Salvatore ci ha offerto (altri 5 punti). 


Poco dopo, il caffè è servito: foto di gruppo obbligatoria, 5 punti per noi e tanti ringraziamenti alla gentilezza di questo ragazzo dal sorriso aperto.

Usciamo dall’abitazione rincuorati: anche se non servisse a nient’altro, questo blog sarebbe utile a illuminare le mille piccole storie che la Storia con la maiuscola non contempla. Pochi passi oltre il cancello ed eccone un’altra, che ci si para davanti: sono Cesà e Serena a fermare il vecchietto per chiedergli indicazioni, totalizzando 1 punto; per una curiosa combinazione il 70enne Ippazio (“ma tutti mi chiamano Pati”) è partito emigrante da Patù a 19 anni, proprio come il 30enne Salvatore, la cui ospitalità abbiamo appena sperimentato. 

Partimmo che eravamo duecento, da Patù e dai paesi di qui sotto – racconta – Vent’anni in Isvizzera mi sono fatto, nel cantone di Friburgo e a Losanna. Che facevo? Il contadino ho fatto, come sempre. E pure quando me ne sono tornato a Patù ho continuato a fare il contadino. Solo che ora ho un agriturismo ai piedi di Vereto e stiamo bene: mio figlio si è laureato e gira il mondo, ve l'ho detto?”. Pati ha un sorriso contagioso, basco in testa, occhi allegri e denti anarchici: Monica gli chiede qualche storia legata a Patù e al suo più famoso monumento, la Centopietre. E lui tira fuori dai cassetti della memoria un curioso racconto, misto di storia e leggenda, nel quale si intrecciano donne dalla forza erculea, antiche città distrutte e megaliti trasportati dalla collina alla pianura: un cuntu, che potete ascoltare per intero nel video qui sotto (e che a noi vale ben 15 punti).

Il nostro viaggio volge ormai all’obbligato epilogo: solchiamo ancora una volta il centro di Patù, con la sua calda chiesa di morbido tufo e la torre dell’orologio che segna ormai quasi le 6 di pomeriggio. 

Tutto ci porta verso sud, verso l’area di Patù che vede insieme l’antica Centopietre, la chiesa di San Giovanni e il Campo Re. 

Proprio da quest’ultimo dobbiamo partire, per tornare da dove siamo partiti: Vereto. Secondo un'antica leggenda (attestata, a dir la verità, da un anonimo manoscritto cinquecentesco pubblicato a Padova) qui, in questo campo di ulivi, il re Carlo Magno combatté una delle battaglie più importanti della cristianità, nella quale sconfisse i saraceni che avevano occupato l’antica città di Vereto, edificata dai Messapi e poi occupata dai Romani e dalle loro discendenze latine. 


Secondo la leggenda (ben ricostruita dal sito di storia locale Salogentis), la battaglia avvenne nel giorno di San Giovanni, il 24 giugno 788, ragion per cui Carlo Magno avrebbe edificato la chiesa paleocristiana dedicandola al santo e costruì la Centopietre come monumento funerario del suo luogotenente Geminiano, usando per costruire il mausoleo cento megaliti messapici provenienti da Vereto.

Ed è proprio qui, in questo triangolo denso di storia e di leggenda, che ci ritroviamo con i nostri amici della squadra concorrente di Macco: trionfanti per il loro tour e convinti di aver la vittoria in tasca. Ma la gara si scioglie nella visita alla Centopietre, dichiarato monumento nazionale nel 1873, e all’austera ed emozionante chiesa di San Giovanni. 

E si ricompone il gruppo intero, senza distinzioni di Macco o di Micco, nella foto collettiva tra i due monumenti principali di Patù, questo paesino di neanche 2mila abitanti che ci ha regalato un pomeriggio inaspettatamente intenso. Qualche porta si è aperta e qualche altra è rimasta chiusa; qualche porta è in rovina e qualche altra risplende di nuova vita; qualche porta è serrata e qualche altra ha la chiave nella toppa. Tutte ci hanno dato qualcosa: l’insegnamento della grande Storia o la grazia delle piccole storie.


Reduce dal primo posto nella precedente tappa di Muro Leccese, la squadra "Micco" totalizza 74 punti nella tappa di Patù, piazzandosi per un'incollatura alle spalle della squadra avversaria, "Macco" (il cui tour potete leggere qui). E si prepara alla prossima sfida del "Salento Express". E, ovviamente, #chicceccè!



5 commenti:

  1. Cari Amici di Micco, io ve lo avevo anticipato prima di iniziare, durante il caffè al bar.
    La tappa di Patù, l'avevo proposta perchè già la sentivo mia :)
    La prossima sarà sicuramente ancora più avvincente.

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  2. Meraviglia! Ho sposato meno di un anno fa un patuense (o patuscio, che dir si voglia) proprio nel palazzo Liborio Romano. Sono innamorata di questo paesino di poco più di mille anime ed ormai lì sono di casa. Grazie per avermi regalato questo piccolo viaggio con gli occhi di chi a Patù c'è stato una sola volta!

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    1. Grazie a te Marilia, continua a viaggiare insieme a noi ;-)

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  3. la mia patù avessi saputo sono una guida turistica...

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  4. Ricordo a tutti che il mio Circolo ha fornito supporto tecnico e direzione artistica per il varo del Bando Internazionale di Poesia, Narrativa e Saggistica Veretum, giunta alla 3.a edizione, ed a due incontri di Poeti Salentini. La Sezione saggistica verte proprio sulla figura politica di Liborio Romano.
    Queste manifestazioni si sono svolte nel Salone del palazzo del fu Liborio Romano, oggi di proprietà comunale e trasformato in luogo di incontri pubblici e di manifestazioni civili e cuturali.
    Salvatore Armando Santoro - Presidente Circolo Culturale Mario Luzi di Montieri (GR)

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